2003

7 ATTI UNICI   di Luigi Pirandello
(Teatro Agorà, Roma – 13 – 30 marzo)

IL GIUOCO DELLE PARTI – ENRICO IV  di Luigi Pirandello
(Pirandelliana, Roma – Basilica dei Santi Bonifacio e Alessio all’Aventino, 10 luglio – 3 agosto)


 


 

IL GIUOCO DELLE PARTI

Un bandoneòn introduce la commedia con accenti nervosi e squillanti. E’ la voce della malinconia. Certi suoi accordi, ostinati e martellati, evocano sonorità lontane nel tempo, emergenti misteriosamente chissà da dove. Quasi risonanze barocche. Le frasi larghe, lente della musica sono intrise di nostalgia, d’un pianto soffocato e d’una arcana magia. Il ritorno insistente al ritmo del tango riafferma l’unico punto di forza, realistico, tra cielo e terra, tra il senso del vivere, dell’amare e del morire.

Personaggi

Leone Gala
Silia, sua moglie
Guido Venanzi
Il Dottor Spiga
Filippo, detto Socrate, servo di Leone Gala
Barelli
Clara, cameriera di Silia

Interpreti

Marcello Amici
Elisabetta Cianchini
Marco Vincenzetti
Umberto Quadraroli
Marco Baldasseroni
Alan Bianchi
Maria Montanaro

LA VICENDA

Silia vive separata da Leone Gala che le ha lasciato tutte le libertà, anche quella di avere un amante (Guido Venanzi), ma le ha imposto ogni giorno mezz’ora della sua metodica presenza.
La donna profitta della prima occasione che capita per chiedere al marito di sfidare un noto spadaccino, uno dei quattro nottambuli ubriachi che una sera, entrati in casa per sbaglio, l’hanno offesa.
Leone Gala accetta, permette che Guido Venanzi fissi le condizioni peggiori per il duello, però, nel momento di scendere in campo, rifiuta. A ognuno la sua parte. Egli ha fatto la sua, faccia la propria ora, battendosi, l’amante della moglie.
Il giuoco è fatto!

DAGLI APPUNTI DEL REGISTA

Il giuoco delle parti, commedia limite in ogni senso, delle commedie di Pirandello è la più meccanica e crudele, perché la più nitida e coerente, la meno persuasiva e la più sincera.
La regia si è collocata tra i personaggi e il dramma che urge in loro, ne ha esposto il delirante narcisismo logico, ha scomposto volumi e colori, ha risolto il giuoco tra le maglie di un cubismo e la suggestione delle gelide geometrie di un teorema, ha giustificato la lucidità implacabile dei contenuti con una scenografia torturante. La commedia non è stata datata, né ricostruito un’epoca precisa, anche se i costumi scelti sono l’espressione di anni precisi, ma, per mezzo di una dialettica eccitante, sono stati reinventati nitidezza filologica e rilievo scenico, non solo per tergere l’anacronismo degli episodi della commedia – assunti quali termini, motori e pretesti di una insolita verità dell’assurdo – ma anche per filtrare i personaggi tra le spire di una sottile e stilizzata ironia, senza mai attingere ai colori della tragedia.
Del più violento paradigma teatrale che sia mai stato ideato sul tipico triangolo borghese, apparentemente legato ad un episodio di costume com’è il duello, non sono sfuggite né la molla che scatena il dramma, né quella sorda, repressa, esistenziale passione. I personaggi, come marionette incomunicabili, monadi leibnziane che non raggiungono la perfezione del giuoco, nel finale lasciano tracce di una realtà setacciata da una demiurgica sapienza.
Tempi, luci, musiche, scenografia mostrano senza forzature prospettiche il luogo claustrofobico che si apre all’inizio con un raggio di luna, per dilatarsi poi nella stanza, assunta come metaforica spirale dalle pareti levigate, impenetrabili, luogo emblematico e focale di tutto il teatro pirandelliano.
Bianco e nero! Silia ha la statura di una Medea, non un’altra donna l’ha messa in scacco, ma il lucido ragionare del marito; evasionista e cupo il suo mondo dalle inquietudini floreali. Una creatura incapace di consistere, disancorata, che sembra avere le malinconie di certe donne di Klimt e una panica sensualità. Un marchesino e tre signori ubriachi che non entrano in scena sono voci di dentro come ansie oniriche.
Bianco e freddo, elegante e luciferino, logico e viola il mondo di Leone Gala che risolve di testa tutti i problemi e frantuma l’involucro del realismo per giungere al pernio della realtà. La regia ha percorso la stessa strada e vi ha trovato un piccolo borghese tutto murato dentro la propria maschera che non ha potuto affrancarsi dalla sofferenza di vedersi escluso. La storia non si conclude nella vicenda per la tristezza dell’aver capito il giuoco, ma dentro la voragine dell’astrazione, il rovello della ragione e l’ansia della verità. L’ostentato futurismo della scena, espressione visiva di tragicità pura, antitesi tra mondo interno e mondo esteriore, tragico conflitto tra la vita come movimento e la realtà dagli schemi immutabili, insinua il sottile veleno del paradosso. Il contrasto tra Silia e Leone ha la dimensione di una inconciliabile contrapposizione tra la vita e la rappresentazione analitica di essa. E’ un’algebra per conoscitori del teatro nel teatro.
Nel dipanare la vicenda, la regia non ha mai dimenticato che Pirandello è l’autore del più acuto saggio su L’umorismo!
Non si è tentato di occultare quanto di meccanico, di volutamente finto c’è nel testo rigidamente orientato verso la tesi. L’ingranaggio della commedia viene esposto in tutta la sua evidenza metaforica, l’asciutto contenitore mentale è reso visibile con effetti di magico realismo che oscilla tra Kafka e Bunel. Non si è distrutta la forma, ma scoperta una seconda realtà, un espressionismo di cui si parla solo per negazioni: un bandoneòn lontano, una luce come una fessura da uno strappo nel cielo di carta sulla maschera della luna e, nel finale, un pizzico di viola ritagliato nelle ultime note di una improbabile Cavalleria.


 

ENRICO IV

PERSONAGGI

… (Enrico IV)
La Marchesa Matilde Spina
Sua figlia Frida
Il giovane Marchese Carlo di Nolli
Il Barone Tito Belcredi
Il Dottor Dionisio Genoni

I quattro finti Consiglieri Segreti
1° Landolfo (Lolo)
2° Arialdo (Franco)
3° Ordulfo (Momo)
4° Bertoldo (Fino)

Il vecchio cameriere, Giovanni

INTERPRETI

Marcello AMICI
Elisabetta CIANCHINI
Veronica ATTANASIO
Alan BIANCHI
Marco VINCENZETTI
Umberto QUADRAROLI


Simone MARIANI
Francesco CALABRESE
Marco BALDASSERONI
Brutius SELBY

Carlo BARI

Perchè trovarsi davanti a un pazzo
sapete che significa?
Trovarsi davanti a uno
che vi scrolla dalle fondamenta
tutto quanto avete costruito in voi,
attorno a voi, la logica,
di tutte le vostre costruzioni.

Si può star quieti a pensare che c’è uno
che si affanna a persuadere agli altri
che voi siete come vi vede lui,
a fissarvi nella stima degli altri
secondo il giudizio che ha fatto di voi?

DAGLI APPUNTI DEL REGISTA

La regia ha ritrovato Pirandello, è uscita dalle abitudini, dalle pratiche pirandelliane, non ha interpretato, come fino ad oggi tutti hanno fatto, la maschera e la persona, ma capito perché Enrico IV si piace in quella carnevalesca rappresentazione che da a sé stesso e agli altri della sua “imperialità”. Non più quel raisonneur in punta di fioretto che con abilità istrionica si destreggiava sul filo teso della pazzia e della finzione, ma quell’istrione che dietro il sipario del suo travestimento offriva ai suoi ospiti lo spettacolo un po’ compiaciuto del suo virtuosismo dialettico. Si vuole dimostrare che Pirandello con il Mascherato ha ritratto la metafora del teatro, non tanto il “teatro nel teatro” (anche se la regia vi accede, ma per altri motivi), quanto la verifica del luogo teatrale come punto simbolicamente privilegiato per la vestizione di una maschera fissa, ma non rigida.
La recitazione di Enrico IV è fuori dalle corde sofistiche e patetiche. È una maschera in perpetua oscillazione tra vittoria e sconfitta, in un giuoco speculare che si prolunga all’infinito. II teatro rimanda alla vita, la vita rimanda al teatro e la vita per il grande Mascherato è stata sogno, forse. Certamente, ora, è teatro. Soprattutto nella parte che avrebbe voluto per sé, confinato in una follia prima reale, poi simulata e consapevolmente scelta. II più tragico personaggio di Pirandello gioca la propria parabola in una carnevalata fittizia e claustrale, tanto più tetra nel suo fondo quanto più pittoresca in superficie. L’esistenza di Enrico IV si risolve e si dissipa, deliberatamente, in azione scenica. La scena è il recinto della pazzia-diversità.

E’ una circolarità bianca, spezzata. In quella ferita entra il volto dell’attore, si muove, tutti gli altri muti, immobili si fanno trovare fin dalle prime battute della commedia in punti precisi, intenti, come personaggi di un coro greco. Pirandello non ha mai dimenticato la gabbia della tragedia di Sofocle; la regia conosce bene i tempi, il battere e levare dell’uomo del Caos; ha assecondato l’architettura della sua commedia e per dimostrarlo ha trovato facilmente un prologo all’interno del dramma stesso.
La scena suggerisce la chiave di lettura. II confine tra personaggio-uomo e personaggio-attore si rarefà sino a divenire inafferrabile in un bianco abbacinante. Si respira aria favolosa, potrebbero, davvero, sorgere incanti figurati creati dai colori che restano scomposti negli occhi abbacinati dal troppo sole di un’isola lontana, dove, più tardi, Enrico IV andrà ad abitare sotto il falso nome di Mago Cotrone.
L’azione è teatro e si muove, dichiaratamente, in un mondo teatrale. La commedia inizia con un palcoscenico ingombro come succede nei teatri quando si montano le scene. II luogo del dramma esistenziale toccherà I‘equazione maschera-finzione-teatro quando i quattro consiglieri nei costumi forniti da sartorie teatrali competenti, monteranno la scena che si squarcerà, si aprirà come una ferita, si spalancherà come una bocca per far entrare un attore pronto a recitare la sua parte.
La regia interviene solo per illuminare tutta la visione drammatica e per creare, come in un giuoco di specchi, il contrasto tra vita e forma. Ma proprio mentre la vita irrompe, imprevista, sulla scena, la forma, la storia, insomma, si riprende tutti i suoi diritti. Per la prima volta, viene suggerito un richiamo insospettato alla tematica del teatro nel teatro.
È un rapporto ben diverso da quello che sorregge la famosa trilogia pirandelliana. Là il teatro nel teatro è chiaramente esposto in termini concreti, qui, nell’Enrico IV, circola sotterraneo, seppure evidente, attraverso mille riferimenti, fino a formare una delle non minori stazioni del “teatro nel teatro” e non per i personaggi in costume da anno mille, pagati per “fare la commedia”. E la risata? Quella firma autografa di Pirandello, falsa e vera, liberatrice ed amara, spontanea e provocatoria. Eppoi il finale. In quel per forza, non c’è dubbio, si riascolta io sono colei che mi si crede e tutto rimanda alla successiva didascalia: Guarderà attraverso il velo, tutti, per un istante; e si ritirerà. Silenzio.
Ecco perché la scena, la recitazione, la ricomposizione del testo, le musiche, tutto diventa spia di una precisa lettura registica dove il confine tra personaggio-uomo e personaggio-attore si rarefà sino a divenire inafferrabile. II pazzo Enrico IV c’è, ma è un pazzo-attore; due ruoli che socialmente sono uno solo, come non a caso insegna Michel Foucault nella Storia della follia (e tanti drammi di Shakespeare stanno lì a testimoniarlo).
La regia, in un certo senso, ha geometrizzato la follia del testo pirandelliano, ha tracciato una linea curva, una linea di confine dalle pareti alte e sottili in cui si pub entrare, ma non uscire. Quando i cosiddetti saggi tenteranno di scombinare gli equilibri, la cittadella si rinchiuderà (e questa volta per forza) nel regno dell’immaginazione perpetua. E mentre, oltre le trasparenze, prendono corpo la finzione e la realtà, tutto il palcoscenico si eleva all’altezza e all’ampiezza di un tempio, di una reggia, di una giostra, perché I‘immaginazione non sa vivere in miseria, ha bisogno di territori sterminati.
Enrico IV è l’altro versante del quotidiano. Nella zona della “Norma”, ovvero delle opinioni correnti, ci sono i personaggi reali dai contorni taglienti e marcati, mentre nella zona oscura sempre con la luna tutto incomincia a farsi di sogno sulla terra. È l’aspirazione a salvarsi dai ruoli impostici nei mondi dell’immaginazione e della poesia. Enrico è un poeta malinconico avvolto in un mantello di solitudine, è un Amleto che discetta sulla condizione umana di cui è vittima e trionfatore; indossa e si fa carico del travestimento per la vita. È l’attore che assume su di se la funzione della follia per scrollare le certezze che ancorano l’esistenza. È lo scrittore che si rinchiude definitivamente nella sua arte.


 

Aiuto regia e Disegno luci: Emanuele Cicconi – Scene: Marcello de Lu Vrau
Costumi: Natalia Adriani – Direttore di scena: Marco Vincenzetti
Assistente alla regia: Carlo Bari – Musiche originali: Marco Baldasseroni
Amministrazione: Marco Salietti e Rosemarie Della Scala
Organizzazione: Paola Amici e Mauro Ciuco – AR.COM.ED. di Luigi Burelli
Progetto grafico: FataMorgana

Ufficio Stampa: Sara Cascelli 347.5074065 – 06.3213826 – sara.cascelli@tin.it

Direzione artistica di Natalia Adriani