2014

IL FU MATTIA PASCAL – IL GIUOCO DELLE PARTI  di Luigi Pirandello
(Pirandelliana, Roma – Giardino della Basilica dei Santi Bonifacio e Alessio all’Aventino, 15 luglio – 10 agosto)

PIRANDELLIANA A TOR BELLA MONACA
(Roma – Teatro Tor Bella Monaca, 14-15 ottobre)

TEATRO DI NATALE – LA BUONA NOVELLA
(Roma – Cripta della Basilica dei Santi Bonifacio e Alessio all’Aventino, 11 – 13 dicembre)


 

PIRANDELLIANA 2014 (XVI Edizione)
dal 15 luglio al 10 agosto

 

IL GIUOCO DELLE PARTI
apre la rassegna il 15 luglio e sarà in scena il martedì, il giovedì e il sabato,
ovvero il 15, 17, 19, 22, 24, 26, 29, 31 luglio – il 2, 5, 7 e 9 agosto

IL FU MATTIA PASCAL
prosegue il 16 luglio e sarà in scena il mercoledì, il venerdì e la domenica, 
ovvero il 16, 18, 20, 23, 25, 27, 30 luglio – l’1, 3, 6, 8 e 10 agosto.

Giardino della Basilica dei Santi Bonifacio e Alessio all’Aventino – Piazza S. Alessio 23, Roma


 

La Compagnia teatrale ‘La bottega delle maschere’
(dall’alto a sinistra): Daniele Borzelli, Giovanni D’Errico, Anna Varlese, Marcello Amici, Martina Meddi, Carlo Bari, Andrea Carpiceci, Marica Malgarini, Marco Vincenzetti, Giulia Crescente, Antonella Arduini, Vita Pugliese, Massimo Folgori, Alessandra Ferro


 

IL FU MATTIA PASCAL

La storia

Mattia Pascal è un modesto impiegato, un guardiano di libri nella biblioteca comunale di Miragno, un paesino della provincia ligure. Vive una vita grama e soffocata, rattristata dai continui litigi con la suocera Marianna Dondi (vedova Pescatore) e la moglie Romilda. Gli muoiono la figlia e la madre, quasi nello stesso giorno! Avvilito e sfiduciato, Mattia Pascal abbandona la famiglia con l’intenzione di imbarcarsi per l’America, così, alla ventura. È la ribellione di un vinto. Capita per caso a Montecarlo, gioca al casinò e vince una grossa somma: ottantaduemilalire. Leggendo un giornale, scopre che al suo paese è stato riconosciuto nel cadavere di un uomo ritrovato annegato in un fosso. Lo sconosciuto, infatti, viene sepolto col nome di Mattia Pascal nel cimitero di Miragno.
Se gli altri lo hanno creduto morto, nulla gli vieta di considerarsi tale. Cambia il proprio nome in quello di Adriano Meis, si nasconde dietro un paio di occhiali azzurrini, viaggia, si trasferisce a Roma, si innamora di un’umile ragazza. La moltiplicazione delle verità, l’irrealizzabile libertà, amaramente, gli fanno capire, però, che fuori della legge e fuori di quelle particolarità, liete o tristi che siano, per cui noi siamo noi,non è possibile vivere. Finge un suicidio per rompere anche con quella vita trascorsa nella finzione. Torna a Miragno e s’accorge che tutti, nella certezza della sua scomparsa, hanno continuato a vivere. La moglie, addirittura, si è risposata ed ha avuto una figlia dal secondo marito. Non c’è più posto per lui, se non davanti alla sua tomba dove si reca, ogni tanto, a deporre una corona di fiori.
La commedia pirandelliana è al suo vertice: egli è morto e sepolto, è il fu Mattia Pascal!

Note di regia
La vita, o si vive o si scrive, confidò Pirandello a Ugo Ojetti in una lettera del 1921. Ed è quanto fa Mattia Pascal, ormai avanti negli anni, in un racconto ironico, in prima persona, della sua bislacca avventura della vita. Lo fa nella penosa situazione socialmente anormale, assurda di morto-vivo.
Mattia Pascal si racconta in un serrato, incalzante, inesausto narrare di sé, ora ironico, ora cinico, ora amaro e ora disarmato, doloroso, senza slittamenti patetici; sempre controllato nel suo vedersi vivere, nel suo confessarsi. Solo con sé stesso, come Enrico IV, come tanti altri deserti personaggi che popolano il mondo pirandelliano. Mattia fa due premesse: nella prima presenta il suo caso come assai più strano e diverso da qualsiasi altro; si sentono già le prime note del saggio di Pirandello sull’Umorismo. Tutto avviene col ritmo rapido della farsa provinciale pirandelliana, popolata di personaggi e di avvenimenti singolari.

AGRIGENTO - Casa natale di Pirandello, 1985: Il fu Mattia Pascal

I personaggi evocati sono nel ricordo di Pascal; loro unica preoccupazione è farsi raccontare dal bibliotecario di Miragno che socchiude gli occhi e li sferza con ironia, li esaspera nel dualismo tra quella che è la vita nuda e quelle che sono le affettuose illusioni con cui ognuno ammanta il proprio pupo. Il loro stare sulla scena è concentrato, ristretto e intenso.Nella seconda premessa Mattia Pascal afferma, con un inatteso salto di qualità, che a sconsigliare di scrivere (non si dovrebbe fare nemmeno per ischerzo!) era stata la scoperta eliocentrica di Copernico, uno dei più grandi umoristi (senza saperlo!). Inforca un paio di occhiali e prende il nome di Adriano Meis. È allora che l’esistenza di Mattia Pascal prende ad assomigliare a quella dei tanti personaggi di Kafka, Gide, Sartre, Moravia, Svevo (uno per tutti: Emilio Brentani di Senilità), i quali, di fronte alla totale solitudine e incomunicabilità, sentono angoscia e noia esistenziale. Mattia Pascal non è un cavilloso sofista. È l’uomo pirandelliano dietro la cui debolezza c’è l’amore per le decisioni improvvise e cieche: quel desiderio di vita, che è poi un lanternino cieco, che tortura tutti i personaggi dell’uomo di Girgenti. Non è l’uomo dalle grandi qualità o dai difetti enormi in cui riconoscere i grandi valori o la negazione di essi, ma un narratore di sé, della sua coscienza dissociata divisa tra il sogno di una seconda identità e il peso inevitabile di una vita determinata dalle convenzioni sociali e dalla condanna a portare una maschera per recitare sempre la stessa parte. A Roma, la libertà dell’uomo proveniente da Montecarlo si esaurisce nelle intenzioni. Solo la messa in scena del finto suicidio è degna in tutto di Mattia Pascal, sempre pronto alle decisioni improvvise e cieche, a quel desiderio di vita che tortura tutti i personaggi dell’uomo del Kaos. Mattia Pascal è un escluso, è stato condannato a una terribile pena: quella della compagnia di sé stesso. La regia ha miscelato tragedia arcaica e comicità farsesca per ottenere un risultato d’insieme che è magma teatralmente stimolante. Il protagonista rincorre il suo playback, bara con sé stesso; la semantica del ricordo è anche nella scenografia che ha incanalato fatti e persone, nella musica di Rossini, scomposta e ricomposta, per accompagnare la storia di un uomo che ha sempre raccontato: da allora, ho fatto il gusto a ridere di tutte le mie sciagure e di ogni mio tormento. Mi vidi in quell’istante, attore di una tragedia che più buffa non si sarebbe potuta immaginare.
Rappresentare un romanzo! Sì, ma intuire, prima, che ogni pagina è la minuta didascalia, tanto cara a Pirandello, di una commedia e accorgersi che la tessitura umoristica, gli elementi riflessivi e irrazionali sconvolgono a pieno la quarta parete per l’avvertimento del contrario.

Personaggi

Mattia Pascal
Don Eligio Pellegrinotto
Batta Malagna
La zia Scolastica
La mamma
Pinzone
Oliva Malagna
Mattia Pascal (il giovane)
Mino Pomino
La vedova Pescatore
Romilda Pescatore
Il signor Romitelli
Berto Pascal
Cocotte
Pantogada
Un avventore
Il croupier
Entraineuse
Anselmo Paleari
Adriana Paleari
Sivia Caporale
Terenzio Papiano
Pepita Pantogada
Scipione

Interpreti

Marcello Amici
Marco Vincenzetti
Massimo Folgori
Anna Varlese
Giulia Crescente
Carlo Bari
Antonella Arduini
Daniele Borzelli
Andrea Carpiceci
Alessandra Ferro
Marica Malgarini
Daniele Borzelli
Daniele Borzelli
Martina Meddi
Carlo Bari
Daniele Borzelli
(voce fuori campo)
Giulia Crescente
Marco Vincenzetti
Giulia Crescente
Anna Varlese
Massimo Folgori
Martina Meddi
Carlo Bari


 

IL GIUOCO DELLE PARTI

La storia
È il giuoco che lega le esistenze di Silia e di Leone Gala, coniugi che da tempo vivono separati.
Il marito ha concesso alla donna tutte le libertà, anche quella di avere un amante: Guido Venanzi; a patto però di tollerare, ogni giorno, mezz’ora della sua metodica visita.
Silia, molestata da quattro nottambuli ubriachi, entrati in casa per sbaglio, pretende che Leone sfidi a duello uno di questi, un noto spadaccino, per vendicare l’offesa ricevuta. Leone accetta, permette addirittura che Guido Venanzi fissi le condizioni peggiori per il duello. La mattina del giorno stabilito, Leone Gala rifiuta di scendere in campo. A ognuno la sua parte! Egli, come marito, ha fatto la sua: ha sfidato.
Guido: Perché, tu non ti batti?
Leone: Non tocca a me!
Faccia la propria ora, battendosi, l’altro, l’amante della moglie.
Rien ne va plus! Il giuoco è fatto.

ROMA - Teatro Tordinona, 1988: Il giuoco delle parti

Note di regia
Il giuoco delle parti, commedia limite in ogni senso, delle commedie di Pirandello è la più meccanica e crudele, perché la più nitida e coerente, la meno persuasiva e la più sincera. La regia si è collocata tra i personaggi e il dramma che urge in loro, ne ha esposto il delirante narcisismo logico e ha risolto il giuoco cercando nell’asciutta scenografia un contenitore mentale e nelle luci i pensieri che sfumano nell’astratto. Solo i costumi sono espressione di un’epoca.
Lesene viola – triangoli rettangoli rovesciati su un piccolo cateto – riflesse in due specchi sono il movimento emblematico e focale di tutto il teatro pirandelliano percorso dalle gelide geometrie dei suoi teoremi. Del più violento paradigma teatrale che sia mai stato ideato sul tipico triangolo borghese, apparentemente legato ad un episodio di costume – com’è il duello – non sono sfuggite né la molla che scatena il dramma, né quella sorda, repressa, esistenziale passione.

Bianco e nero. Silia ha la statura di una eroina; non un’altra donna l’ha messa in scacco, ma il lucido ragionare del marito; cupo il suo mondo dalle inquietudini floreali. Tutta istinto e sentimento. Una creatura incapace di consistere, disancorata, che sembra avere le malinconie di certe donne di Klimt e una espressionistica sensualità.
Logico e viola, bianco e freddo, elegante e luciferino il mondo di Leone Gala che risolve di testa tutti i problemi, frantuma l’involucro del realismo per giungere al pernio della realtà. Non un vincitore, ma un vinto; non un cinico che dalla sicura fortezza del raziocinio guarda con distacco le miserie e i trabocchetti delle passioni, ma un uomo spinto dalla vita, quando la ragione diventa una maschera, a rifugiarsi in una parte di filosofo da recitare fino in fondo. La regia non ha visto nel Giuoco il lucido teorema di stampo intellettualistico; infatti, Leone Gala non è altro che l’osservatore degli errori altrui, che mentre proclama la vita simile ad un uovo da prendere, svuotare e poi infilare su un perno per farne un giocherello infantile, non fa altro che confessare la propria fragilità. La regia insiste su questa tesi fino a rendere più aspro l’attrito tra quel piccolo borghese tutto murato dentro la propria maschera e il contorno snobistico fatto di smoking, duelli e nottambuli. Un raisonneur che non ha potuto affrancarsi dalla sofferenza di vedersi escluso.
Un finale grottesco con i colori della tragedia addolciti nella vuota farsa dell’indifferenza. Mentre si tira la farsa in dramma, sprizzano i succhi amari della satira che, scomponendo con fredda logica il triangolo dell’adulterio borghese, anticipano il teatro dell’assurdo. Si è esaltata la linearità del linguaggio teatrale pirandelliano, chiave di lettura dell’intera messinscena; si è tentato di spostare qualche baricentro, ma subito tutto è stato rimesso al suo posto, anche quel volutamente finto che è nel testo. L’ingranaggio è stato esposto in tutta la sua evidenza metaforica, fin quando la morte di Guido, fuori dallo spazio riservato all’azione, giunge a suggerire una possibile realtà, trasformando la farsa mondana in tragedia dell’assurdità del vivere.
Triangolo coniugale, duello … che senso, che risonanza possono avere nel costume odierno? Se visti come semplici fatti, d’accordo! Se i fatti, invece, diventano termini, motori, riferimenti, pretesti, mezzi e non fine alla rappresentazione di una insolita verità dell’assurdo, ecco che proprio la loro inattualità purifica la commedia dal contingente e la colloca in una dimensione classica. Qui è il segreto della lettura della regia che mantiene sempre il paradosso nelle regole del giuoco, tra una deserta amarezza e una minacciosa fatalità. 
Si era aperto con un pianoforte lontano e una luce come una fessura da uno strappo nel cielo di carta, si chiude con un pizzico di viola ritagliato nelle ultime note di una improbabile Cavalleria.

Personaggi

Leone Gala
Silia, sua moglie
Guido Venanzi
Il dott. Spiga
Filippo, detto Socrate
Barelli
Il marchesino Miglioriti
Primo signore ubriaco
Secondo signore ubriaco
Terzo signore ubriaco
Clara, cameriera di Silia

Interpreti

Marcello Amici
Vita Pugliese
Marco Vincenzetti
Massimo Folgori
Carlo Bari
Daniele Borzelli
(Daniele Borzelli)
(Carlo Bari)
(Massimo Folgori)
(Marco Vincenzetti)
Anna Varlese


 

LE PROVE NELLA SEDE DELLA BOTTEGA